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Fra memoria e luoghi tangibili, il tema dei ghetti e delle giudecche è emblematico: i quartieri ebraici infatti hanno segnato in modo inconfondibile vaste aree dei nostri centri storici, spesso le parti più antiche e significative. La presidente Marilena Lelli ci ha accompagnati in questo viaggio virtuale. Nella Regione Emilia-Romagna, sotto il profilo urbanistico, tante sono le località nelle quali si è reperito un quartiere abitato in antico dagli ebrei, ma soltanto 11 furono i ghetti veri e propri, a Correggio, Guastalla, Reggio-Emilia, Finale Emilia, Carpi, Modena, Bologna, Cento, Ferrara, Lugo, Rimini. Nel territorio regionale l'istituzione dei ghetti si scandisce in modo differenziato tra metà del Cinquecento e fine Settecento: dal ghetto di Bologna, il primo istituito immediatamente dopo l'emanazione nel 1555 della bolla papale Cum nimis absurdum, ma anche il primo ad essere soppresso nel 1593 con l'espulsione definitiva degli ebrei dalla città; ai ghetti di Ferrara (1627), Lugo (1634) e Cento (1636), creati a seguito del cambiamento della compagine politica, quando i territori estensi ritornarono sotto il dominio del papa; a quello di Mirandola (1602) con il quale gli Estensi inaugurarono la serie dei ghetti nei loro territori, di Modena (1638) e di Reggio (1670), per giungere ai casi tardivi di Carpi, che ebbe il suo ghetto nel 1719, di Finale nel 1736 e di Correggio nel 1782, alla vigilia della ventata rivoluzionaria francese che avrebbe portato la breve parentesi della prima Emancipazione In quello "spazio di identità" che fu il ghetto si trovava tutto ciò che serviva alla vita quotidiana, dal forno per il pane e le azzime, alla macelleria khasher, alle botteghe artigiane, ai laboratori. Come pure la vita religiosa e culturale si coagulava intorno alle sinagoghe e alle yeshivoth, mentre le istituzioni di autogoverno della comunità provvedevano all'amministrazione e all'organizzazione sociale interna della comunità.